Marco Ridella
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Personalmente considero la fotografia una passione da solitari, senza che ciò assuma un’accezione negativa del termine,; al contrario penso che questo possa essere un valore aggiunto perché offre anche la possibilità di riscoprire il proprio io, di ritrovare sensazioni sopite e di scoprirne di nuove.

La fotografia, intesa come passione, può assumere diversi aspetti ma tutti, secondo me, complementari: l’uno non esclude l’altro, anzi lo completa.

Può essere il mezzo per cogliere l’attimo, più o meno fuggente, dell’emozione, della gioia ma anche quello amaro della tristezza o della sofferenza, dell’incontro o del distacco; può avere l’aspetto sorridente della vittoria o quello deluso della sconfitta; lo sguardo spensierato ed allegro di un bambino oppure il volto solcato dalle rughe di un anziano.

Ancora può essere il mezzo per fermare, illusoriamente, con un’immagine il trascorrere inclemente ed inesorabile del tempo: un vecchio cinema, frequentato da bambini, sostituito da un parcheggio o il giardino del primo appuntamento, e così via.
Ognuno di noi ha un ricordo che gli scalda il cuore e la fotografia è ciò che ci permette di conservarlo magari un po’ più a lungo, di farlo resistere all’oblio del tempo.
Scattare una foto non è mai, o almeno non dovrebbe esserlo, una pura azione meccanica, un dito che schiaccia un pulsante ma è un corto circuito emotivo che ti spinge ad impugnare la fotocamera, ti costringe a guardare attraverso di essa ed a scattare per fermare ciò che vedi: una visione che, da quel momento, è solo tua.

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